La Mucopolisaccaridosi di tipo I (MPS I) è una malattia rara da accumulo lisosomiale di origine genetica appartenente al gruppo delle mucopolisaccaridosi. Essa è causata dal deficit funzionale dell’enzima alfa-L-iduronidasi che determina un accumulo nel lisosoma di due glicosaminoglicani (eparansolfato e dermatansolfato). Alterazioni nell’attività di questo enzima sono state associate a 3 diverse “varianti” della malattia: la variante più severa ad esordio precoce (detta anche sindrome di Hurler), la variante più lieve ad esordio generalmente adulto (conosciuta anche come sindrome di Scheie) ed una variante caratterizzata da un fenotipo intermedio (chiamata sindrome di Hurler-Scheie). L’incidenza della forma severa è di circa 1/100.000 mentre quella delle forme più lievi è di circa 1/500.000, anche se recenti studi hanno mostrato come in certe popolazioni l’incidenza della malattia sia più alta. Nonostante la “classificazione” delle diverse varianti della MPS I, è ormai noto che i pazienti mostrano un’estrema eterogeneità sintomatologica, e quindi può risultare difficile inquadrare il fenotipo di un paziente in una delle 3 forme precedentemente descritte. In generale, l’intero spettro sintomatologico della MPS I comprende: ritardo psicomotorio, deformità scheletriche, dismorfismi facciali, ernie (principalmente inguinali e/o ombelicali), irsutismo, opacità corneale, organomegalia, manifestazioni cardiache, sindrome del tunnel carpale, infezioni recidivamenti delle vie aeree e dell’orecchio medio, bassa statura, rigidità articolare.

La MPS I è un disordine autosomico recessivo causato da mutazioni nel gene IDUA, localizzato nel braccio corto del cromosoma 4 (4p16.3). Questo gene è lungo 19 Kb ed è composto da 14 esoni codificanti. Ad oggi, più di un centinaio di mutazioni in questo gene sono associate alla malattia. Essendo una malattia autosomica recessiva, un paziente affetto da MPS I deve avere una mutazione considerata causativa in entrambi gli alleli del gene IDUA. La presenza di due alleli mutati si ottiene quando entrambi i genitori di un paziente sono dei portatori sani, cioè hanno un allele recante una mutazione patologica. Infatti, se entrambi i genitori sono portatori sani, essi avranno il 25% di probabilità di generare figli affetti, il 50% di probabilità di avere figli che sono dei portatori sani, ed il 25% di probabilità di avere dei figli sani non portatori.

In quanto malattia da accumulo lisosomiale, il sospetto diagnostico avanzato dal clinico viene confermato o confutato da indagini di laboratorio. In genere, la prima analisi consiste nella misurazione dei livelli urinari di eparansolfato e dermatansolfato. Tale test non basta a confermare il sospetto ma è indicativo di malattia. La diagnosi clinica viene confermata dall’analisi dell’attività dell’alfa-L-iduronidasi su spot di sangue essiccato e, in caso di esito positivo, dallo studio del gene IDUA.

Attualmente, il trattamento terapeutico consiste sia nel trapianto allogenico di cellule staminali sia la somministrazione della terapia enzimatica sostitutiva (ERT). Il primo è principalmente rivolto ai pazienti affetti dalla forma severa della malattia (purchè il trapianto venga effettuato entro i due anni di vita). La ERT è invece rivolta verso tutti i pazienti che mostrano significativi benefici da tale trattamento. Si è visto che prima si inizia il trattamento, maggiori sono i benefici evidenziati. Tuttavia, la ERT non mostra una efficacia significativa sulle lesioni neurologiche.